MUSEO DEL PROFUMO TRA ANEDDOTI E CURIOSITA’ (da allure.it)

Un luogo senza tempo, dove ammirare flaconi di profumo realizzati da artisti e case essenziere in due secoli. E un narratore d’eccezione, l’esperto di Profumeria d’Epoca e direttore della rivista Profumeria da Collezione Giorgio Dalla Villa, grazie al quale il Museo ha visto la luce. Un gruppo di blogger guidate dal direttore di Allure ha visto schiudersi le porte del Museo in via Messina, a Milano. E ha ascoltato racconti “profumati” che hanno percorso i secoli. Eccone solo alcuni…


René le Florentin

A metà strada tra realtà e mito si trova la storia di René le Florentin, maestro profumiere alla Corte parigina di Caterina de’ Medici. Siamo nel XVI secolo, e un bambino abbandonato nella ruota di un carro viene portato nel convento fiorentino di Santa Maria Novella e qui allevato. Il nome che gli danno i frati è Renato (perché “rinato” grazie alle loro cure) Bianco (perché dalla carnagione molto chiara).

Cresciuto come garzone, intorno ai dodici anni viene assegnato al servizio di un frate alchimista che gli insegna i segreti della distillazione delle erbe e, con il passare del tempo, diventa più preparato di ogni altro monaco del convento. Nel 1533, quando una Caterina de’ Medici appena quattordicenne va in sposa al futuro re di Francia Enrico d’Orléans, Renato fa parte del corteo che l’accompagna a Parigi in qualità di profumiere di fiducia. La strada è lunga e passa da Grasse, città già famosa per le sue concerie, circondata da immensi campi di fiori coltivati. Proprio qui, racconta Giorgio Dalla Villa, Renato fa raccogliere ai frati che lo accompagnano una moltitudine di fiori, con l’intento di aprire una bottega a Parigi dove vendere fragranze da lui realizzate. L’uso del profumo, già largamente utilizzato nelle Corti italiane, è infatti sconosciuto in Francia, dove la società è sì raffinata, ma esala un odore pestifero, data l’endemica mancanza di igiene della popolazione.

René le Florentin, come comincia a essere chiamato dai parigini, contribuisce quindi alla nascita della cultura del profumo: nessuno, dato che il Re e la Regina presenziano a corte inondati da eleganti profumi, osa più presentarsi al loro cospetto emanando odori sgradevoli. E una miriade di botteghe tenute da novelli profumieri si apre in tutta la città. È questo il momento in cui il profumo esce dal semi oblio dove era stato dimenticato dopo i fasti dell’epoca romana e diventa un elemento indispensabile, simbolo dello status sociale delle classi più agiate. Ma questo è anche l’inizio di una tradizione profumiera importante, che per quasi due secoli diventa quasi un’esclusiva dei francesi.

Museo del Profumo tra aneddoti e curiosità

François Coty e La Rose Jacqueminot

Fino ai primi del Novecento, il flacone di una fragranza resta in secondo piano, ritenuto un semplice involucro. I profumieri vanno semplicemente dal vetraio e acquistano i flaconi che questo gli offre: boccette quadrangolari, che si distinguono solo per il tappo e le etichette. È in questo quadro storico che nasce Joseph Marie François Spotorno, detto François Coty, un corso trasferitosi a Parigi.

La storia narrata da Giorgio Dalla Villa racconta dell’amicizia di Coty con un farmacista e di come, visitato il suo laboratorio, egli fosse rimasto affascinato dalle diverse attrezzature. Il farmacista gli dona quindi la ricetta dell’Acqua di Colonia, che riesce a realizzare con risultati più che soddisfacenti. Gli consiglia quindi di apprendere l’arte profumiera e, su suo consiglio, si trasferisce a Grasse per studiarla a fondo. Ma quando ritorna a Parigi, François Coty non si accontenta di diventare un profumiere qualsiasi. La sua idea è quella di associare le essenze naturali a prodotti di sintesi, scoperti nel 1800. I progressi della chimica permettono infatti di produrre a buon mercato tutta una serie di note.

E, se da un lato non c’è più bisogno di creare un profumo partendo dalla natura ma questo si può realizzare su un’idea (per un ballo, per conquistare l’amato…), dall’altro con molecole più facili ed economiche da reperire il profumo può diventare un prodotto di massa senza essere più destinato a un’élite ristretta. Questo concetto non vale solo per la creazione delle fragranze, ma anche per la loro vendita. E mentre gli altri profumieri continuano a proporre le loro creazioni solo nelle proprie boutique, Coty è convinto che questi possano avere un buon mercato nei grandi magazzini. Come spesso accade per le buone idee, questa viene accolta con molto scetticismo: la storia vuole che Coty, dopo un appuntamento con il direttore dei magazzini del Louvre che gli aveva negato la possibilità di vendere il suo nuovo profumo La Rose Jacqueminot, snervato, ne avesse scagliato una bottiglia nel negozio gremito, rompendola.

Le donne, estasiate dalla fragranza, si precipitarono a chiedere dove potevano comprarla e ai Magazzini del Louvre non restò altra scelta che accettare il profumo, che venne venduto con grande successo. Ma in quegli anni Coty intuisce anche l’importanza del packaging e del flacone. Tanto che nel 1907 si rivolge al vetraio René Lalique che realizza per lui una meravigliosa etichetta in bassorilievo, applicata su un flacone di cristallo Baccarat, in occasione del lancio di L’Effleurt de Coty

René Lalique e il flacone come arte

Orafo di livello ed esponente di punta dell’Art Nouveau e dell’Art Déco, dopo l’esperienza nella creazione del flacone di LEffleurt de Coty, esplora a fondo l’arte vetraia e diventa uno tra i più ambiti creatori di flaconi per le fragranze. Tra le sue creazioni, lo Scarabée di Piver, che vuole rappresentare due scarabei contrapposti che si arrampicano sul flacone per arrivare fino al fiore.

E il disegno prosegue sul tappo, decorato con un motivo di petali. La sua attività non si interrompe dopo la sua morte, ma viene ripresa dal figlio Marc nel 1946 con una differenza: mentre René realizzava le sue opere come un artista solitario, Marc suddivide i diversi passaggi tra più artisti, creando flaconi che sono opera di personaggi diversi, ciascuno con la sua specializzazione.

Museo del Profumo tra aneddoti e curiosità

Profumi e couturier: Paul Poiret

Molte le novità all’inizio del Ventesimo secolo per quanto riguarda il mondo dei profumi. Tra queste, l’apertura dei couturier a questo mondo. Per “vestire” la donna a 360°, non soltanto realizzandole l’abito perfetto, ma creando anche una fragranza che ne riesca a completare l’outfit e il mood. Il primo a lanciare quella che poi sarebbe diventata una consuetudine per i maggiori stilisti del XX secolo, è l’eccentrico sarto parigino Paul Poiret.

È lui, nei primi anni del Novecento, a togliere il corsetto agli abiti femminili, creando “la Vague” (l’onda), una tunica che lambisce il corpo come un’onda leggera. Poiret inaugura quindi un nuovo stile di vestire, restituendo alle donne quella libertà di movimento che mancava loro fin dal Rinascimento. Ma il suo senso del marketing non si ferma a questo. Proprio mentre il suo successo continua a crescere, pensa che se può dire alle donne come vestire, può anche consigliarle su come profumarsi. Nel 1911 apre la divisione dedicata ai profumi, chiamandola Parfums de Rosine, dal nome della figlia.

Il lancio di questa attività avviene il 24 giugno 1911 con una sontuosa festa in maschera ispirata alle odalische di Shahrazad, alle musiche e ai profumi orientali e perciò definita la Mille et Douxième nuit. Al termine della festa, le invitate ricevono un flacone del primo profumo firmato Poiret, Nuit Persane. Tutta la vita del couturier viene caratterizzata dal fasto e dall’eccentricità di questa festa, ma da altrettante sregolatezze e imprudenze. Proprio per questo, la sua carriera, che comincia costellata di successi, finisce nel modo opposto e Poiret muore nel 1944 in miseria, ormai pressoché dimenticato.

Coco Chanel e il profumo del mistero

Nel 1919 muore in un incidente automobilistico il giocatore di polo Boy Chapel, grande amore di Coco Chanel. Tra i consigli dell’amica Misia, quello di distrarre la mente creando un profumo. Consiglio che a quanto pare Gabrielle decide di seguire: è infatti di quel periodo il ritrovamento di un carteggio con quella che viene ritenuta la formula di un profumo originale di René Le Florentin.

E proprio da quell’ispirazione sembra sia nata l’Eau de Coco, jus di cui si è persa memoria. A supporto della tesi che il profumo sia esistito davvero, però, una fattura dei laboratori Coty di quel periodo… La ricerca e la sperimentazione del mondo delle fragranze comincia per Coco in questo momento, e continua negli anni con una certezza: per rappresentare lo stile della sua Maison, vuole una fragranza che si discosti da quelle prodotte fino a quel momento, legate a un particolare fiore: “Non voglio nessun olezzo di rose o mughetto, voglio un profumo elaborato”. Il suo obiettivo? “Un profumo da donna che profumi di donna”. L’incarico non viene dato a un profumiere esperto, come è uso in quel periodo tra i couturier, ma a Ernest Beaux un naso poco noto che Gabrielle ha conosciuto tramite il suo amante, il Granduca Dmitrij Pavlovic Romanov. Sul perché di questa scelta, Giorgio Dalla Villa racconta una storia che si ricollega nientemeno che a Grigori Rasputin.

Il monaco siberiano, infatti, prese potere nella Russia degli zar per il suo forte legame con la Zarina. Legame che si consolidò, tra gli altri motivi, anche per i risultati più che soddisfacenti con cui Rasputin curava lo zarevic Alessio, emofiliaco. Durante il momento della “cura”, il monaco restava solo in una stanza con il bambino e non voleva essere disturbato. Per un’incomprensione, una cameriera entrò nella stanza proprio in uno di quei momenti e sorprese Rasputin che faceva annusare una boccetta ad Alessio. La notizia dilagò nel palazzo, e al momento della congiura che portò alla morte del monaco, Pavlovic (che era uno dei fautori dell’assassinio) si premurò di sottrarre la boccetta dal cadavere e di consegnarla a Edouard Beaux, uno dei profumieri della Zarina per farne analizzare il contenuto. Il granduca non potè però sapere il responso di tale analisi perché fu esiliato a causa del delitto e perché perdette le tracce del profumiere dopo la Rivoluzione.

Passano gli anni e Dmitrij si è trasferito a Parigi, quando per caso incontra Ernest Beaux, figlio di Edouard, e gli domanda se ha mai saputo di una boccetta da lui consegnata al padre. Ernest non solo la ricorda, ma vorrebbe produrla se solo ne avesse Chanel N°5 miscela essenze naturali (in particolare gelsomino e rosa) e sintetiche (aldeidi) in modo decisamente innovativo. Grazie all’uso delle essenze sintetiche, il jus si rivela totalmente diverso da qualsiasi altra creazione: gradevole e artificiale al tempo stesso, e non può essere ricondotto a nessun fiore in particolare.

Tra i segreti del suo fascino, l’utilizzo del delicato gelsomino di Grasse, dall’aroma unico perché coltivato al limite settentrionale della zona geografica in cui tale pianta cresce naturalmente. Un aroma con 80 tipologie differenti di aldeidi naturali, talmente unico da non poter essere ricreato in laboratorio. Il jus riscuote un immediato successo e apre la strada alla produzione industriale nel campo della profumeria. Ma il profumo più celebre di Madeoiselle Coco, non le regala soltanto gioie: nel 1924 firma un contratto con i fratelli Wertheimer, proprietari di Les Parfumeries Bourjois (casa cosmetica francese, al tempo molto famosa), per creare la società Les Parfums Chanel, con cui cede loro i diritti della produzione del profumo e la sua gestione a livello internazionale in cambio del 10% delle azioni.

È infatti convinta che i jus potranno avere, anche in futuro, un ruolo marginale nel suo lavoro (e quindi anche nei guadagni), abituata al numero limitato di boccette del N°5 che vengono prodotte all’inizio. Ma le fragranze hanno un successo che va ben oltre le aspettative, e Coco si deve accontentare di una minima parte degli immensi guadagni che queste producono, imbrigliata in un contratto che i Wertheimer rifiutano di modificare

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